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Cinque Province tornano al voto, c'è Vicenza con tre liste

Di Rassegna Stampa Domenica 8 Gennaio 2017 alle 12:23 | 0 commenti

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Oggi in Veneto 5.409 amministratori comunali saranno chiamati a rinnovare i consigli provinciali di Padova, Vicenza, Verona, Rovigo e Belluno. Ma come, si chiederà: le Province non dovevano essere abolite? Sì, cioè no, o meglio: trasformati dalla legge Delrio del 2014 in organi elettivi di secondo grado, dopo la vittoria del «No» al referendum dello scorso 4 dicembre gli enti di area vasta sono rimasti in Costituzione, tanto da giacere adesso in un limbo giuridico. Una condizione di incertezza normativa a cui si somma anche una crisi di sopravvivenza finanziaria: «O entro gennaio il governo emanerà un decreto per mettere in sicurezza i nostri bilanci, o questa volta saremo davvero costretti a dichiarare fallimento». A dare voce all'allarme istituzionale è un coro trasversale di presidenti: da Achille Variati (Vicenza, Partito Democratico) a Stefano Marcon (Treviso, Lega Nord), passando per Enoch Soranzo (Padova, civiche di centrodestra).

 

In ballo c'è il terzo colpo della mannaia calata dallo Stato sulle casse degli enti locali per il 2015, il 2016 ed appunto il 2017: in tutto 3 miliardi di prelievi, di cui 1 miliardo e 950 milioni sottratti dalle Province delle Regioni ordinarie. Per quelle venete si tratta, anche per quest'anno, del prosciugamento di circa 55 milioni. «Un conto insostenibile - afferma il vicentino Variati, che è anche numero uno nazionale dell'Unione province italiane - e non perché siamo dei carrozzoni mangiasoldi, ma in quanto abbiamo già raschiato il fondo del barile pur di continuare a garantire i servizi. Abbiamo usato tutti gli avanzi di amministrazione che ci erano rimasti, abbiamo rinegoziato i mutui, abbiamo attuato un meccanismo solidaristico nell'utilizzo dei fondi per la viabilità in modo da andare in soccorso a Rovigo e Belluno che erano quelle messe peggio di tutte. Ma più di così non possiamo fare».

La riforma ha infatti lasciato agli enti di secondo livello, amministrati da sindaci e consiglieri comunali che non percepiscono alcun compenso aggiuntivo, la gestione di strade (7.000 chilometri in Veneto), scuole e ambiente. «È un po' - esemplifica il padovano Soranzo, che è anche leader regionale dell'Upi - come se ad una famiglia da un lato venissero bloccate le entrate e dall'altro venissero continuamente imposti dei prelievi forzosi. Il capofamiglia può anche essere bravissimo a tirare la cinghia per far quadrare i conti, ma arriva il momento in cui ogni sforzo è vano, perché i soldi che restano sono troppo pochi per vivere. Ecco, noi siamo proprio a quel punto: il rinvio delle scadenze contabili da febbraio a marzo è del tutto inutile, il problema non sono i tempi per approvare il bilancio, ma non avere le coperture finanziarie per chiuderlo».

Come riassumeva la lettera inviata da Variati giusto un mese fa a Sergio Mattarella, per chiedere l'intervento del presidente della Repubblica in qualità di «garante della Costituzione», la situazione è precipitata con la caduta del governo Renzi: uscita dalla Camera con pesanti ripercussioni a carico delle Province, la legge di Bilancio avrebbe dovuto essere corretta al Senato, invece è stata apposta la fiducia e il testo è rimasto quello che era. «Di fronte a questa implosione di risorse, a causa del drenaggio operato dallo Stato centrale - sottolinea il trevigiano Marcon, l'ultimo ad essere eletto in Veneto in attuazione della Delrio - ci resta ben poca possibilità di dare indirizzi amministrativi che siano sostenuti dalla benché minima volontà. Ma così i bilanci non li chiude nessuno, per cui speriamo veramente che il governo voglia mettere mano a questa grave anomalia».

Dal ministero dell'Economia, il sottosegretario Pier Paolo Baretta conferma la volontà di correre presto ai ripari: «Non servirà tornare in parlamento, basterà un decreto ministeriale per ridurre l'importo di quanto i Comuni, le Province e le Regioni devono dare nel 2017 come concorso al bilancio dello Stato. La rimodulazione deve ancora essere decisa nei dettagli, ma posso assicurare che i tempi saranno brevi e che le Province riceveranno un'attenzione importante. Il nostro obiettivo è di evitare il loro default, su questo i presidenti hanno ragione».

Secondo le indiscrezioni romane raccolte dall'Upi, nel cosiddetto «fondone» da 960 milioni approvato dalle Camere verrebbero trovati i 650 milioni necessari ad azzerare lo sforzo chiesto agli enti di secondo livello per il terzo anno di fila. «Ma non basta - rilancia Variati - perché per garantire la manutenzione di strade e scuole, abbiamo bisogno pure di risorse aggiuntive, quantificabili a livello veneto in altri 30 milioni». L'ultimatum delle Province scadrà a fine mese. «Non avendo chiuso il bilancio - spiega Soranzo - siamo entrati in esercizio provvisorio e quindi possiamo impegnare mensilmente solo un dodicesimo degli stanziamenti precedenti. È chiaro che così non possiamo più andare avanti».

Ora la palla passa dunque al governo Gentiloni, proprio nei giorni in cui la Consulta ha dichiarato l'inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale sollevata dal Veneto nei confronti del decreto che prevedeva di sanzionare le Regioni che non avessero attuato la riforma Delrio. Palazzo Balbi aveva fatto ricorso alla Corte, ma poi aveva provveduto a riordinare le funzioni e ad accollarsene gli oneri.
di Angela Pederiva, da Il Corriere del Veneto


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